DISTRETTO INDUSTRIALE DI VIGEVANO, OMBRE E LUCI

DI ELENA GORINI

DISTRETTO INDUSTRIALE DI VIGEVANO, OMBRE E LUCI

Ragioni della crisi ma anche opportunità da cogliere

Nel terzo appuntamento ai Piccolini si è parlato di lavoro ed economia.

L’argomento all’ordine del giorno del terzo incontro organizzato dal PD regionale, che si è svolto all’area feste dei Piccolini il 29 luglio scorso, è stato “Lavoro e distretti produttivi: il nodo del territorio di Vigevano”. La prima a intervenire è stata la consigliera comunale del M5S Silvia Baldina, che ha sottolineato come la crisi del calzaturiero venga da lontano e gli imprenditori non abbiano saputo cogliere i mutamenti del mercato internazionale; neppure la classe dirigente di destra, che governa la città e la regione da anni, ha saputo portare gli opportuni supporti a un settore in crisi. Se Vigevano vuole guardare avanti deve puntare sulle nuove tecnologie, sul green job – è sempre il parere di Baldina -, e trovare il modo di agganciarsi a Milano per poter accedere a investimenti pubblici e privati.

È poi intervenuto il consigliere regionale PD Simone Negri, che ha trattato il tema delle infrastrutture, la cui carenza pesa come un macigno sullo sviluppo del territorio. Negri ha affermato che la provincia di Pavia da almeno due decenni manca di una visione e che fatica a prendere coscienza di quale sia la sua vocazione. Anche lui ha sottolineato l’importanza di entrare nel circuito milanese e, paradossalmente, la mancanza di trasporti pubblici efficienti ha allontanato Vigevano dal capoluogo lombardo mentre altre aree competitive con Vigevano per la filiera calzaturiera si sono avvicinate grazie agli investimenti infrastrutturali. Esempio significativo: Parabiago. L’area vigevanese e lomellina viene sistematicamente sacrificata dalle scelte di Regione Lombardia guidata da decenni dalla destra: i dati lo dimostrano. Facendo confronti con altri territori, si vede che RFI ha quadruplicato i fondi per la linea Rho-Gallarate, mentre per il Sud Ovest Milano e la Lomellina erano previsti soltanto 120 milioni di euro del PNRR per raddoppiare i 5 km della tratta Albairate-Abbiategrasso. Poi si è saputo che questo finanziamento è stato perso perché la progettazione è andata troppo per le lunghe e per l’esplosione dei costi (oggi ci vorrebbero 280 milioni di euro per il raddoppio) ma Vigevano sarebbe stata comunque esclusa. Il piano commerciale di RFI prevede che se ne riparli dal 2028 in avanti. “È possibile – si è domandato il consigliere PD – che su 23 miliardi di euro di investimenti PNRR sulla rete ferroviaria regionale solo 120 milioni fossero previsti per questa linea, che è tra le più carenti d’Italia ma anche tra le più strategiche?”. Una chance per il potenziamento della linea Milano-Mortara potrebbe venire dalla costruzione della linea metropolitana M4, che avrà come primo interscambio San Cristoforo, hub dell’area Sud di Milano. Ai Vigevanesi per raggiungere quella stazione bastano 20 minuti e questo potrebbe significare entrare nel sistema Milano.

Negri ha rilevato altri dati economici interessanti: tra i settori in crisi a livello regionale abbiamo il calzaturiero, il tessile e l’abbigliamento, ma la Lomellina registra anche una flessione del 5% nei trasporti e logistica, dato in controtendenza rispetto alle altre province, e del 7% nel settore ristorazione-alberghiero e turismo. Quest’ultimo aspetto non è da sottovalutare – secondo il parere di Negri – perché Vigevano e il suo comprensorio vantano bellezze storiche, culturali e naturalistichedi tutto rispetto ma non esistono circuiti che permettano al turista che visita Milano di arrivare facilmente a Vigevano. Si tratta sia di una questione infrastrutturale che di mancanza di politiche per la promozione del territorio. Un altro tema sul tavolo è la dimensione delle imprese: il 60% ha un fatturato al di sotto dei due milioni di euro all’anno, sono cioè micro imprese. Questo è un fattore di fragilità, superabile soltanto attraverso il fare rete, creare marchi territoriali e infrastrutture digitali, sempre nell’ottica di entrare nel circuito milanese. Altro aspetto interessante è che Vigevano potrebbe costituire una alternativa residenziale credibile per coloro che risiedono a Milano e che non riescono a far fronte agli affitti troppo elevati. Inoltre, la provincia di Pavia è la più anziana della Lombardia (età media 47,7 anni) e Vigevano non fa eccezione: sarebbe importante riuscire ad attirare giovani professionisti con una nuova cultura imprenditoriale, capaci di utilizzare tutte le potenzialità delle nuove tecnologie. In conclusione, la costruzione di infrastrutture materiali e digitali avrebbe un eccezionale effetto moltiplicatore e un enorme impatto sulla vita socio-economica, culturale e demografica della città. “Perché non si fa? – ha concluso il consigliere – Cosa dicono i rappresentanti pavesi in consiglio e in giunta regionale?”.

In seconda battuta è intervenuto il segretario provinciale della Cgil Fabio Catalano sul tema del mercato del lavoro in Lomellina. “È mancato in provincia – ha esordito – un governo della cosa pubblica che sapesse orientare le scelte rispetto ad alcune filiere. Scelte che non possono essere compiute dal privato”.  In provincia si pone il tema della attrattività degli investimenti e dei lavoratori ma le condizioni di questi ultimi sono negative. Da due anni il mercato del lavoro è molto precarizzato: l’80% dei nuovi avviamenti avviene con contratti di lavoro precario. Lavoro precario significa retribuzione più basse che nel resto della regione. Sullo sfondo c’è il tema di quale sia il modello del fare impresa. Purtroppo conosciamo tutti i casi di aziende come Moreschi o Fiscatec. “Quale può essere il ruolo dell’amministrazione comunale – si è domandato Catalano – per intervenire su situazioni di questo tipo? Penso che sia riduttivo che un sindaco si appelli al libero mercato. Servono invece politiche attive per rendere un territorio attrattivo”.

Come già accennato, un altro aspetto è l’invecchiamento della popolazione, che richiede di mettere in campo un sistema di welfare che dia risposte ai bisogni dei cittadini e crei occupazione. Così come si può pensare a servizi per la conciliazione vita-lavoro e a servizi educativi (la provincia ha il primato della povertà educativa e dell’abbandono scolastico). In conclusione, per il segretario CGIL “è mancata una visione complessiva di modello di sviluppo territoriale”. 

SANITÀ MALATA

DI ELENA GORINI

Mancanza di personale, liste d’attesa infinite, perdita di risorse: ecco la situazione in Lombardia

Il secondo appuntamento della tre giorni democratica si è svolto il 28 luglio scorso. Si è dibattuto il tema del sistema sanitario in Regione Lombardia. In apertura la senatrice Simona Malpezzi ha illustrato il decreto sanità recentemente approvato dal governo Meloni. “È stata una misura elettoralistica – ha sostenuto -, approvata a quattro giorni dalle europee; è un provvedimento vuoto perché, per esempio sulle liste d’attesa, non mette risorse. . L’unica novità è l’interoperabilità tra le piattaforme regionali che gestiscono le liste”.
La norma prevede l’aumento delle ore di lavoro dei medici e la detassazione degli straordinari. Ma come si può immaginare che i medici possano lavorare oltre il loro orario contrattuale, di sabato, domenica e di sera, considerando che sono già sotto-organico e che soprattutto le infermiere sono in buona parte donne, che a casa normalmente hanno anche un lavoro di cura da svolgere? Questa è la domanda che si è fatta Malpezzi, sostenendo che la misura è esclusivamente “propagandistica”. Come fare per rendere il provvedimento efficace? Il Pd chiede da tempo di portare la spesa al 7,5% del PIL affinché le risorse siano adeguate a una gestione universalistica della sanità. A questo proposito la senatrice ha affermato di “avere un approccio laico al tema del rapporto sanità pubblica-privata: se il sistema integrato funziona a vantaggio dei cittadini va bene, se va a nocimento dei cittadini più fragili non è accettabile perché in contrasto con il dettato costituzionale”.

Il tema del rapporto tra pubblico e privato è stato ripreso dalla consigliera regionale Roberta Vallacchi, che ha affermato che la giunta ha stanziato 61 milioni di euro per ridurre le liste d’attesa e aumentare gli esami nel fine settimana, il problema però è che mancano personale e attrezzature. La legge Fontana-Moratti ha confermato le scelte che erano state fatte dalla legge Maroni, nonostante il covid ne abbia messo in evidenza tutti i limiti. Il primo aspetto da mettere in evidenza è che il pubblico dovrebbe programmare le prestazioni da acquistare dal privato, che diventa fornitore di servizi, in base alle proprie necessità. Invece in questo sistema è il privato convenzionato che decide quali prestazioni mettere a disposizione del pubblico. Ovviamente, il privato sceglie gli interventi più remunerativi, con maggior margine di guadagno e minor rischio, lasciando al pubblico le prestazioni più costose o a rischio, come il pronto soccorso. Prendiamo l’esempio di esami diagnostici o di interventi chirurgici: il loro costo è molto elevato e spesso nel pubblico i tempi di attesa sono lunghissimi. Sempre più persone non se li possono permettere e rinunciano a curarsi. Che cosa propone il Pd? “Bisogna cambiare il rapporto pubblico-privato – afferma Vallacchi – nel senso che il pubblico deve programmare ciò che acquista e porre regole rigorose”. Un altro tema correlato è quello dei trasporti: con la chiusura di molti ospedali i pazienti sono costretti ad uscire dai loro territori per fare visite in altri presidi ma questo comporta la necessità di farsi trasportare dai familiari o trovare altre modalità. C’è poi la questione del Cup unico, che dovrebbe poter vedere le disponibilità di posti sia nel pubblico che nel privato convenzionato ma quest’ultimo non ha interesse a mettere a disposizione le proprie agende. Questo è un problema risolvibile ponendolo come requisito per la stipula dei contratti. L’assessore regionale Bertolaso l’ha promesso più volte ma sempre rinviato.

La delegata della CGIL Patrizia Sturini ha messo in evidenza come nell’ospedale di Vigevano alcune prestazioni siano previste solo per i pazienti interni per mancanza di personale. Molti medici vanno all’estero in cerca di condizioni lavorative migliori. In provincia ci sono stati casi eclatanti, come l’ospedale di Varzi da cui se ne sono andati sette radiologi molto apprezzati, portandosi dietro i loro pazienti.“È in atto – ha detto la sindacalista – un disegno per depotenziare il pubblico, mentre occorrerebbe riorganizzare il sistema rivedendo orari di lavoro e modalità organizzative”.

Il dottor Luca Bellazzi, medico di base e consigliere comunale, ha messo in evidenza una serie di storture del sistema, come il peso della burocrazia, gli inutili doppioni nella somministrazione degli esami, la necessità di fare educazione sanitaria alla popolazione e il bisogno dei medici di base di essere ascoltati dai vertici di ASST, superando la scollatura esistente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AUTONOMIA DIFFERENZIATA E PREMIERATO, LA CHINA DELLA DESTRA

DI ELENA GORINI

La segretaria regionale Silvia Roggiani ha parlato delle scelte scellerate del governo Meloni

La tre giorni che ha inaugurato le feste democratiche a livello regionale si è tenuta nell’area feste di via Gravellona nei giorni 27-28 29 luglio. Ad aprire le danze è toccato alla segretaria regionale Silvia Roggiani e al neo-eletto sindaco di Pavia Michele Lissia. Il tema, di grande attualità, sono state le riforme istituzionali che il governo Meloni intende introdurre. L’approvazione dell’autonomia differenziata non richiede una legge costituzionale, pur andando a modificare gli assetti di fondo dell’organizzazione statale, e pertanto è passata con legge ordinaria, pubblicata sulla G.U. il 26 giugno scorso. Discorso diverso per la legge sul premierato, che dovrà seguire un iter parlamentare più lungo e complesso, che prevede per l’approvazione la maggioranza qualificata. Nel frattempo è iniziata la raccolta firme per promuovere il referendum abrogativo della legge sull’autonomia, raccolta che è già arrivata (nel momento in cui scriviamo) a oltre 500 mila firme ma gli organizzatori mirano a raggiungere il milione.
La legge sull’autonomia consiste nel trasferimento, su richiesta, alle Regioni di parte delle competenze che oggi spettano all’Amministrazione centrale. Alcune di esse (Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria), amministrate dalla destra, hanno già richiesto di poter legiferare su alcune materie, che sono in totale 26. La critica che viene mossa dalle opposizioni, tra cui il PD in primo piano, è che questa riforma è pericolosa perché mina la coesione nazionale e approfondisce le disuguaglianze territoriali.
“La stagione dell’autonomia – ha sottolineato Roggiani – fu aperta dal PD ma con alcune differenze di fondo rispetto al testo di Calderoli: in primo luogo la legge voluta da Bonaccini in Emilia Romagna riguardava solo 5 materie e inoltre aveva al centro lo snellimento della burocrazia con la legge Bassanini. L’attuale norma prevede il passaggio di competenza in materia di relazioni internazionali e commercio con l’estero, temi su cui dovrebbe legiferare non l’Italia ma l’Europa. È pensabile poi un sistema in cui ci sono venti diverse politiche energetiche?”.
E poi c’è la questione dei LEP, i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. “La legge – prosegue Roggiani – prevede che questo meccanismo scatti solo nel 2026 ma non accadrà nulla perché non ci sono i soldi per finanziare questo meccanismo di perequazione. Il pericolo, se andasse in porto, sarebbe di una legge spacca Italia, che penalizzerebbe non solo il Sud ma il paese intero”. La segretaria riconosce la necessità di mantenere la competenza di Comuni e Province  dove le questioni sono locali ma in certe materie di carattere sovraregionale, come energia, scuola, sanità, trasporti, è essenziale mantenere un approccio nazionale.

ADELMO CERVI: “FACCIAMO DELLA COSTITUZIONE LA NOSTRA BANDIERA”

DI ELENA GORINI

L’80enne figlio di Aldo Cervi ha presentato il suo libro ai Piccolini in occasione della pastasciutta antifascista

Con una energia vitale da fare invidia a un ragazzino e forte Adelmo Cervidelle sue idee, senza peli sulla lingua, Adelmo Cervi ha presentato il suo libro “I miei sette padri” all’area festa Piccolini il 23 luglio scorso, giorno della pastasciutta antifascista. Dopo i saluti del vice presidente di ANPI provinciale, Antonio Corbeletti, e del segretario provinciale della CGIL Fabio Catalano Puma, che hanno invitato ad attualizzare la lotta a difesa dei valori costituzionali firmando per il referendum contro l’autonomia differenziata e il premierato (era stato allestito un gazebo per la raccolta delle firme), è stata la volta di Adelmo. Che ha esordito sottolineando che quella dei Cervi non era una “banda”, come fu chiamata, ma una “brigata internazionale”, composta da prigionieri di varie nazionalità, primo gruppo partigiano a essersi formato sull’Appennino emiliano.  Adelmo ha poi illustrato il profilo di suo padre e della sua famiglia, a cominciare dal nonno Alcide, contadino mezzadro, fervente cattolico, come cattolico era suo padre Aldo, responsabile della sezione giovanile di Azione Cattolica del paese di Campegine. Nel 1929, durante il servizio militare, a causa di una sentenza ingiusta, finì per tre anni nel carcere militare di Gaeta, che divenne per lui “università politica e di vita”. Al ritorno la madre Genoeffa non lo riconosceva più, si era voltato – come soleva dire, era diventato comunista e antifascista militante: partecipò alla Resistenza, si adoperò per l’istruzione del popolo dando vita con altri alla biblioteca clandestina, la sua casa divenne rifugio per fuggiaschi e resistenti. Il 25 novembre 1943 la casa colonica dei Cervi fu circondato dai repubblichini e, dopo un breve scontro a fuI miei sette padri”, Adelmo Cervi e la storia dei sette fratelli torturati e fucilati -oco e dopo che le stalle e i fienili furono dati alle fiamme, i sette fratelli furono arrestati e fucilati il 28 dicembre successivo. Leggendo il prologo del libro, Adelmo ha ricordato che il mito si è portato via mio padre… e mi ha lasciato in cambio una lapide … un monumento … una statua a sette teste … sette medaglie. Vie e piazze intitolate ai fratelli Cervi mentre in verità erano uomini in carne e ossa, ognuno con la propria personalità, combattenti contro un despota quando molti accettavano di essere sottomessi. Forse non tutti determinati come il padre Aldo nella lotta, ma nessuno si tirò indietro nel momento estremo.

La lezione di Aldo e dei fratelli Cervi ha ancora senso oggi: Aldo era un Che Guevara – ha affermato Adelmo – , uno che voleva cambiare il mondo ribellandosi a ingiustizie e falsità. Oggi non dobbiamo perderci in piagnistei e lamentele, dobbiamo lavorare sodo per tradurre in pratica quei valori costituzionali che non sono ancora stati realizzati. Siamo noi che facciamo la storia, che decidiamo quali idee portare avanti per contrastare la china che questo governo sta dando al Paese. Facciamo della Costituzione la nostra bandiera e uniamoci in nome dei valori fondamentali in cui crediamo.